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(Fiction)

Giampiero Falzone - MI RISVEGLIO EBREO

E' la sera del 10 gennaio 1993 quando, uscito dal cinema dopo aver preso visione del film "Schindlers' List", efficace testimonianza delle barbarie naziste nei confronti della "razza impura", mi avvio verso casa.
Pensieroso e critico su quanto visto, percorro una strada deserta e desolata avvolta nella nebbia. Ho molta tristezza perché penso ad un ebreo che, in una situazione come la mia, è guardingo e pauroso per un'eventuale aggressione dei Neonazisti, dei Naziskin. Penso altresi' ad Anna Frank, la dolce ragazza ebrea morta in un campo di sterminio, dopo aver trascorso due anni in un nascondiglio ad Amsterdam durante l'occupazione nazista, scrivendo un diario assurto a simbolo dell'Olocausto. D'improvviso mi arresto. La mia mente è confusa. I pensieri del passato e del presente mi si accavallano scompigliati in testa. Ho le vertigini. Svengo. Mi accascio pesantemente al suolo. Dopo circa cinque minuti riprendo conoscenza e mi ritrovo circondato da molte persone magre e seminude. Sono ebrei. Attonito, mi guardo intorno e capisco di essere in un lager tedesco. Anch'io sono Ebreo. E' la notte del 10 gennaio 1943.
Vengo sorretto da due rabbini e capisco dal volto di tutti che il giorno seguente sarebbe accaduto qualcosa di importante. Non riesco a comprendere, malgrado faccia tante ipotesi, come fossi riuscito a fare un salto indietro di cinquanta anni e come fossi tra gli ebrei Ebreo. Tutti sono, anzi siamo terrorizzati. Troviamo conforto solo nella preghiera. Finita questa, mi faccio spiegare la situazione. Mi trovavo nel campo di concentramento di Buchenwald.
L'avvenimento importante del giorno venturo è il trasferimento di noi tutti ad Auschwitz. Il campo, che sorge in un luogo disabitato e malsano, è chiuso da filo spinato nel quale è messa corrente elettrica ad alta tensione; torrette di vigilanza sorgono munite di mitragliatrici.
E' impossibile fuggire. Appreso ció, mio malgrado cerco di addormentarmi. Non ci riesco perché anch'io oramai ho l'ansia e le paure di un ebreo.
E' l'alba quando un ufficiale nazista ci ordina di montare sui camion che dalla Germania ci avrebbero condotto in Polonia. Partiamo e dopo un lungo e tortuoso viaggio con l'animo sempre piú sconvolto giungiamo ad Auschwitz. Lo capiamo perché in lontananza vediamo molti nazisti e soprattutto molto fumo. E' quello prodotto dalle "razionali fabbriche di morte". Temiamo, anzi siamo certi, che una simile fine spetterá anche a noi. Ci fanno scendere e, privati anche dei calzoni di tela, nudi ci conducono nelle baracche di legno, larghe circa sette metri e lunghe cinquanta, che gli stessi internati prima di noi avevano costruito con le proprie mani e con il proprio sudore. Nelle stesse trascorriamo una giornata infernale. Quasi tutti, infatti, piangiamo e ci straziamo per ció che ci attende. Mi colpiscono particolarmente le lacrime dei vecchi "scarni e secchi" cui, malgrado essi siano emblemi di saggezza, vengono fatti soffrire dolori, pene, tormenti, affanni ed angosce. Mentre faccio queste considerazioni arrivano dei barbieri che ci rasano i capelli.
E' la cosiddetta tosatura.
Ultimata questa torniamo soli con i nostri pensieri. Io ritorno a pensare ai libri letti prima di fare il lungo salto indietro che mi ha reso Ebreo. Mi accorgo che aveva ragione Primo Levi quando nel suo "Se questo è un uomo" ci faceva capire che il lager è un "mondo dove la morte sopraggiunge prima di morire". Quelli che erano stati solamente presentimenti diventano ora piú che mai delle certezze, dei fatti.
E' arrivato il momento.
Veniamo, infatti, condotti nelle camere a gas. Dopo essere morti, i nostri cadaveri verranno messi nel forno crematorio per l'incenerimento. Usciamo in fila per due. Stiamo oramai facendo il nostro cammino verso la morte.
Giungiamo nelle camere a gas dove altri ebrei poco prima di noi sono stati gassati.
E' arrivata la nostra ora. La mia ora.
Piangere ed opporsi non serve a nulla. Quindi, con pacatezza e placiditá entriamo nella stanza dove viene immediatamente esalato il gas ed insieme al gas il nostro ultimo respiro.

E' la mattina dell'11 gennaio 1993.
Mi alzo dal letto e turbato ma felice di essere e di essere stato ebreo vado a scuola.
Era, infatti, solo un sogno.
Un sogno vero.




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