la pergamena

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(Fiction)

Gordiano Lupi - GUANTANAMERA

1.
Le onde frangevano le rocce quel giorno ed il vento batteva inclemente la costa. I capelli di Luis volavano nel cielo in tempesta. Ana dov'era? Quando l'avrebbe rivista? Sua figlia era partita sulle ali di un volo lontano in un bel pomeriggio di un'estate tropicale dura a morire.
I suoi occhi vagavano sulla spiaggia deserta del suo passato, orizzonte immodificabile del futuro che lo attendeva.
Janet sulla porta della capanna in legno che era la loro dimora di sempre, lo chiamava per il pranzo. Il solito vecchio pranzo a base di riso e fagioli neri che potevano permettersi all'ombra delle palme altissime che gettavano i loro sguardi oltre l'oceano.
Parole non dette tra persone che conoscono a mente il loro passato. Parole che è inutile dire o ripetere, perché sarebbero solo momenti di troppo, quando è sufficiente uno sguardo per capire che lo stesso timore ti unisce e che il medesimo anelito di amore è quello che ti sgorga dal cuore.
Janet e Luis e la loro vita che scorreva solita all'ombra dei mille venti caldi di un'immodificabile estate, sulla solita spiaggia del loro amore bambino, quando rincorrere sogni e sperare nel domani rappresentava qualcosa in più di un'illusione lontana.
Allora Luis credeva nella rivoluzione ed in Fidel, suo nonno era stato combattente sulla Sierra Maestra a fianco dell'argentino Che Guevara e ricordava ancora i racconti alla fioca luce della sera, che parlavano di guerra e di eroi, di dittatori sconfitti, di un popolo che sarebbe stato artefice della propria riscossa. Quanto era lontano quel tempo! Il nonno era morto e suo padre già non poteva trasmettere lo stesso entusiasmo, perché i problemi della vita quotidiana si erano centuplicati di fronte all'embargo statunitense, ma anche a causa di politiche economiche sbagliate. Non c'era più la madre Russia a comprare lo zucchero ed il lavoro mancava e soprattutto non dava da vivere.
Luis non poteva credere più a niente, ma pensava solo a sopravvivere, con qualche piccolo espediente, ricorrendo al mercato nero, guidando la sua vettura d'altri tempi per le polverose strade dell'Avana con a bordo qualche turista facoltoso, alloggiando gli stranieri nella sua casetta sul mare per poche lire. Cos'altro gli restava per gettarsi nell'avvenire senza credere che nulla sarebbe potuto servire per modificare il corso degli eventi?
Allora pensava che Ana aveva fatto bene. Non poteva più certo dire, come avrebbe pensato il nonno, che aveva tradito la rivoluzione, non poteva biasimarla per aver scelto l'Italia sulle ali di un aereo, non poteva pensare che la sua solitudine attuale potesse rappresentare una colpa per la figlia lontana... E poi Ana era innamorata e non era fuggita solo per una scelta di vita opportunistica. La vedeva ancora abbracciata al suo uomo mentre versava qualche lacrima e salutava i vecchi genitori ed il paese natio. "Bambina mia, avremmo voluto darti un futuro diverso e avremmo voluto i tuoi occhi sempre qui davanti a noi per rischiarare le notti tristi, quando un sorriso può essere la medicina giusta per la tristezza che torna a galla dal passato. Non ce l'abbiamo fatta. Posso solo pensare di rivederti un domani, a cavallo dei tuoi sogni e con i tuoi bambini nati in un paese lontano, che non sapranno neppure parlare la mia lingua. Posso solo pensare e sperare che qualcosa cambierà in un futuro lontano. Spero solo tu sia felice, bambina mia."
I pensieri di Luis, mentre mangiava la sua ciotola di riso e guardava la moglie con affetto, si mischiavano alle note di Guantanamera diffuse dalla radio vicino alla finestra ed alla voce del vento sulla spiaggia che rincorreva le grida dei bambini bruciati dal sole.

2.
Ana era una dolce ragazza dai capelli neri e lo sguardo intenso, che brillava nei suoi occhi castani aperti verso il mondo come per sfidare il presente ed affrontare un futuro, che giorno dopo giorno portava dietro sé soltanto ostacoli da superare e prove da vincere con destrezza ed abilità.
La sua vita danzava a passo di "salsa" e "merengue" nei locali della capitale, dove ballare per i turisti era l'unico modo che conosceva per poter sbarcare il lunario. A fare a meno di tutto era stata abituata sin da piccola, l'economia rivoluzionaria le aveva insegnato che non si poteva pretendere niente più che la sussistenza e non si doveva vivere per avere, come diceva Fidel, sarebbe stato l'errore più grande pensare che le cose materiali avrebbero potuto dare la felicità. Ana non lo aveva mai pensato, anzi credeva che l'unica cosa al mondo veramente importante fosse l'amore, ma come poter vivere tranquilli e sperare nel futuro se di tutto c'era sempre bisogno? Questa era l'unica cosa che non capiva del comunismo, perché lei tutto sommato si sentiva figlia di quella cultura, allevata ai valori di socialismo e rivoluzione, cullata sin da bambina e nutrita con il latte della solidarietà.
Affacciata al finestrino del suo aereo aveva dato uno sguardo di addio alla sua antica capitale adagiata sul mare.
Il "Josè Martì" la salutava tra palme e strade polverose, con bambini intenti a giocare sulle rive del Malecòn, pietrose come sempre, bagnate da sudore e salmastro, riscaldate da un sole tropicale unico al mondo. I suoi antichi sogni di bambina le dicevano addio, quando al risveglio del villaggio la musica di un popolo desta solite sensazioni nella vita quotidiana e si riunisce ad antichi momenti di gioia. Ana stava fuggendo dalla sua vita e dalla sua gente. Doveva sentirsi in colpa per questo?
Doveva sentirsi una controrivoluzionaria?
In realtà pensava di essere solo una ragazza innamorata ed i suoi vent'anni sfidavano il futuro nella volta celeste, sospinti a veleggiare in una coda d'aereo di seconda classe verso nuovi sogni e nuove sponde fatte di un futuro completamente da capire.
Francesco l'attendeva a Roma e l'avrebbe guidata alla scoperta di cose nuove, inserendola in una realtà che adesso le pareva un sogno ad occhi aperti, tanto la vedeva lontana dal suo rituale quotidiano fatto di mancanze e di lotta per sopravvivere. L'unica cosa che sapeva con certezza era che poteva contare sull'amore del suo uomo, che aveva conosciuto in un pomeriggio di maggio sulle rive del suo mare, mentre era intenta ad aiutare suo padre a calare le reti ed a pescare aragoste. Lo ricordava ancora mentre avvicinava i suoi passi al suo sorriso, mentre la prendeva dolcemente tra le sue mani forti e la faceva sognare tra le stelle della notte.
Sarebbe stata ancora capace di sognare?
Sarebbero stati di nuovo capaci di condurre le loro abitudini passate, cresciute in un mondo di straordinaria realtà, nella monotonia del quotidiano?
Erano questi gli interrogativi che inquietavano Ana, mentre dal finestrino del suo volo "Cubana" salutava palme e gabbiani della sua terra antica.
Quanto tempo sarebbe dovuto nuovamente passare prima di tornare a vedere il rosso colore del sole al tramonto ed il verde deciso dei campi! Quanta acqua sarebbe dovuta passare sotto i ponti sempre più difficili e traballanti di un regime che voleva sopravvivere a se stesso!
Il sorriso del suo uomo l'attendeva poco distante.
Un volo d'aereo e mille speranze. Un volo d'aereo e troppi ricordi. Domani sarebbe stato un nuovo giorno ed il sole non sarebbe stato rosso come un tempo. I colori avrebbero avuto sfumature meno decise e più tenui e nel suo cuore avrebbe albergato a lungo la nostalgia. Un volo d'aereo ed un nuovo orizzonte da scoprire con la mano tesa verso l'avventura erano il suo nuovo palcoscenico: avrebbe provato a danzare anche questa nuova musica, afferrando ad una ad una le stelle nel cielo d'un solitario abbandono.

3.
Francesco pensava alla sua donna a lungo nelle vuote sere d'estate passate a rivedere le bozze del suo ultimo libro, oppure impiegate a stendere l'ultima versione del pezzo da pubblicare sul giornale cui da tempo collaborava.
A volte si affacciava al terrazzo e guardava il mare, pensando a lei ed al Caribe che aveva lasciato da poco tempo.
La saudade lo prendeva e non lo mollava un istante ed era duro abituarsi di nuovo alla solita vita fatta di casa e lavoro, passeggiate sul corso della sua cittadina di provincia, pellicole cinematografiche domenicali e partite di calcio su campetti improvvisati di periferia.
Il matrimonio era stato bellissimo e lo ricordava con dolcezza, versando anche qualche lacrima di commozione frammista a sorrisi di perduta felicità. Tre mesi di attesa, tre lunghi mesi prima che la sua sposa potesse raggiungerlo in Italia ed il tempo aveva veramente fatto una gran fatica a passare tra pensieri, illusioni e preoccupazioni remote.
Sarebbe stato tutto uguale in Italia? Si diceva spesso Francesco. Si sarebbe abituata alla nostra vita fatta di stress? Avrebbe rimpianto il suo clima ed il carattere spontaneo della sua gente? Domande, solo domande che si frapponevano ai pensieri d'amore e lasciavano spazio ad altri ricordi senza tempo. Non restava che attendere. Non restava che aspettare.
Adesso era giunto il momento ed i ricordi potevano lasciare spazio al presente con i suoi istanti da costruire sugli istanti successivi. Adesso era già domani, quel domani sperato e temuto, quel domani che non era più un sogno, ma che sarebbe dovuto restare tale, perché i loro cuori innamorati potevano finalmente riunirsi.
L'auto correva veloce per la solita strada conosciuta a memoria da tempo. Fiumicino e la campagna maremmana che si aprivano poco a poco ad una nuova conquista. Tra breve il volo Cubana avrebbe condotto Ana di nuovo tra le sue braccia dopo tanto distacco.
Francesco ricordava i loro giorni avaneri e le serate passate ad imparare la "salsa" ed i ritmi caraibici che lo sconvolgevano. Non era stato mai bravo nel ballo e non aveva appreso che pochi passi di "merengue" che adattava ad ogni ritmo in modo maldestro.
Ricordava quando aveva sposato la sua donna in un giorno di novembre lontano, caldo come ogni giorno di quel fantastico paradiso tropicale, e tutto gli sembrava un sogno. Ana stava arrivando, presto sarebbero stati insieme, i pensieri di mesi con corse affannose in ambasciate e consolati si traducevano in realtà concreta.
Proprio questo dava da pensare a Francesco, tutto ciò era il quadro di una preoccupazione latente, che agli occhi del mondo non avrebbe avuto ragione di esistere. Tutto era fatto, non restava che vedere come sarebbe andata a finire ed era la parte più difficile del progetto, che sino a quel momento era giunto a buon fine.
La sua città di provincia non era L'Avana e la vita non sarebbe stata facile come in una vacanza continua. La realtà avrebbe preso il posto dell'avventura e non era facile intuire la fine della storia. Ana sarebbe stata la stessa o avrebbe perduto la testa di fronte ad un mondo nuovo basato sul consumismo e sull'avere? I suoi principi si sarebbero scontrati con una realtà contrapposta, per niente assimilabile al suo lontano "Caribe".
Al momento non occorreva pensare. L'aereo stava planando e la sua bambina lontana lo avrebbe atteso agli arrivi internazionali con una valigia piena di speranze.

4.
Le note di "Guantanamera" si diffondevano nelle stanze della sua nuova casa ed Ana non poteva fare a meno di ricordare suo padre intento a pescare o sua madre che lo chiamava per il pranzo. Vedeva voli di gabbiani sulle acque e pensava alla sua terra lontana, alle danze, ai giorni di festa, al caldo sole del Caribe. Adesso non le mancava nulla. Aveva l'amore del suo uomo e la tranquillità per il futuro, doveva solo fare i conti con la nostalgia del passato e quella non era facile sconfiggerla.
Tornava a superficie non voluta come torna a rifiorire un flebile soffio di vento dopo una giornata di pioggia. Era difficile mandarla via in quei momenti, quando un po' di solitudine la faceva pensare al passato, fatto di giorni tristi, ma anche di sorrisi allegri e dolcezza infinita.
Allora Francesco la prendeva per mano e le sorrideva.
"Che cos'hai piccola mia? Cosa ti prende?"
Sapeva benissimo cosa non andava, lo vedeva dalla sua espressione accorata, mentre guardava la finestra e vedeva fuori il vento, sentiva scuotere i vetri ed il freddo pungente di un inverno che non aveva mai conosciuto le penetrava i pori della pelle. Francesco la conosceva bene, ma sapeva che aveva bisogno di quella domanda, sapeva che la sua attenzione ai suoi momenti di sconforto serviva a rincuorarla. Ana non rispondeva mai, ma scuoteva la testa e sorrideva ed andava ad abbracciare il suo uomo tenendolo stretto al cuore.
"Non mi lascerai mai, è vero?" Diceva con un italiano stentato che faceva fatica ad uscire dalle piccolissime labbra. "Non ti stancherai mai di me, perché sono solo una bambina?"
Francesco si era innamorato proprio dei suoi grandi occhi da bambina e del suo sorriso ingenuo ed aperto, che dava fiducia al mondo e si faceva largo in un panorama di ingiustizie e difficoltà. Come avrebbe potuto fare a meno della sua bambina? Le rispondeva accarezzandole i capelli lunghissimi che le scendevano sin sulle spalle: "Non ci si può stancare di un sogno. Non si può perdere per strada l'unica cosa bella che ha attraversato la mia vita."
Ana si addormentava sul grembo del suo uomo e sognava il Caribe. Vedeva suo padre sulla spiaggia che pescava aragoste gigantesche, vedeva sua madre che imbandiva la mensa con il solito riso e fagioli neri, ascoltava la voce del vento tra palme altissime e piante colorate di rosso e di verde dai fiori multicolori. Non sarebbe mai tornata al suo mondo lontano, se non per rivedere i suoi cari nei giorni di festa. Non sarebbe mai più stata una cubana che vive la vita della sua terra in preda a fortissime emozioni. Il suo futuro era in quella parte di vecchio continente, in una provincia lontana che si affacciava sul mare e che era così diversa dai sogni del suo cuore bambino.
L'amore, la cosa più importante della sua vita, la teneva stretta tra le sue forti braccia e sentiva, ora più che mai, che niente sarebbe potuto accaderle con la sua presenza.
Tra breve sarebbe nato un bambino ed avrebbe appreso a parlare italiano, la sua parte di sangue cubano si sarebbe compresa solo dal colore della pelle.
I sogni di Ana erano i sogni di una bambina innamorata che vedeva il colore delle stelle nella notte infinita, proprio mentre il futuro era fatto di un mattino eterno e di una luce accecante e multicolore.
Mancava soltanto il calore dei tropici e la voce buona di suo padre che le sussurrava: "Corri bambina mia, corri...vola incontro al tuo domani.."




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