la pergamena

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(Fiction)

Ermete Marchionni - DURO A MORIRE

NOME: ET-CIU';
PROFESSIONE: VIRUS;
LUOGO DI NASCITA: AD EST DI SAIGON, IN UN RIVOLO PUTRIDO E PUZZOLENTE.
Generato dall'incrocio di sostanze marce in decomposizione, mi ero lasciato tranquillamente trasportare dal liquido-culla, insieme a migliaia di fratelli dell'ultima nidiata, sino alla grande piantagione di riso, imboccando uno dei numerosi meandri di accesso. Mi ritrovai, così, dopo due giorni di dolce far niente, al limitare opposto della piantagione, in un melmoso campo di verdure. Scelto il gambo che più mi piaceva, mi ero sistemato nel suo fondo, tra una foglia e l'altra, per ripararmi meglio da tutta quell'umidità. Mi svegliai fresco e riposato alle prime luci dell'alba e stavo già pensando di fare un altro sonnellino, quando, dopo un colpo sordo alla base, sentii il mio rifugio sollevarsi, compiere un mezzo giro e finire la sua corsa in un cesto, dove già si trovavano altre verdure abitate anch'esse da miei fratelli. Chiacchierando del più e del meno ci ritrovammo in un grande spiazzo, pieno di gente e di voci, dove le verdure furono esposte su tavoli di marmo. Restai così per un oretta circa, poi da lì finii in un borsone di paglia. Il mio angelo custode mi suggerì di rintanarmi ancor più in fondo di dove già ero, rimanendo acquattato tra le foglie e il torsolo, cosicché, quando la verdura fu lavata, l'acqua per fortuna non mi raggiunse. Mentre cercavo di dare un senso a quelle operazioni, entrò una bella ragazza, che tagliò il cacchio dove io ero nascosto e lo mangiò. La bocca dove ero finito era perfetta. Trentadue denti trentadue, tutti sani e bianchissimi, in un palato roseo. Sarebbero stati il posto ideale, ma si rivelarono troppo esposti a dentifrici e seccature varie, per cui mi inoltrai nella laringe. Mi ero appena sistemato, quando vidi venir giù una virulina bella da far perdere la testa. L'avvicinai subito e in quattro e quattr'otto proliferammo un migliaio di virulini che correvano di qua e di là, tra faringe e laringe, provocando colpetti di tosse alla ragazza. Era un vero piacere vederli correre e saltare, sani e vispi, da una tonsilla all'altra, scivolare sui denti, arrampicarsi su per il naso e volar via ad ogni colpo di tosse. Io, dopo la piacevole faticata fatta per mettere al mondo questi monelli, mi sentivo un po', stanco, cosicché tornai nel mio cantuccio e presi sonno. Mi svegliai al frastuono di una musica awayana, in mezzo a tanta gente, per lo più militari americani e splendide ragazze asiatiche. Seppi da alcune voci che ci trovavamo sulla spiaggia di Pattayà per un party organizzato dagli ufficiali americani di stanza sul Golfo del Siam. Birra, Whysky e Vodka cominciarono presto a scorrere a fiumi; rischiai più volte di affogare e cadere nell'esofago e quindi ancor più giù, dicendo addio a questa vita. Mi aggrappai con tutte le mie forze ad una insenatura della gola, facendomi piccino piccino. Ormai ero quasi sbronzo ed avevo bisogno di una boccata d'aria. Dopo alcuni giri di ballo, la ragazza si appartò con un ufficiale americano. Un colpo di tosse mi scaraventò sul palato dove, all'improvviso, si intrufolò la lingua del giovane che mi prese e mi portò nella sua bocca. Fui un po' dispiaciuto di lasciare la ragazza, ma in compenso la nuova abitazione odorava di chewingum alla menta. Un po' di frescura, dopo tanto alcool, era quel che più ci voleva, per cui mi adattai di buon grado alla nuova sistemazione. Il volo che mi portò in America fu lungo. L'ufficiale dormì quasi tutto il viaggio, alternando colpi di tosse ad un sordo russare.
Scoprii che ad ogni colpo di tosse partiva dal mio corpo un pulviscolo di frammenti che, a contatto con l'aria, diventavano virus come me, anche se di dimensioni più modeste. Questo processo, anziché indebolirmi, mi fortificava, come succede ad uno sportivo che, perdendo peso, tonifica i muscoli. Le mie diramazioni comunque dovevano aver trovato collocazione negli altri passeggeri perché i colpi di tosse si moltiplicarono e, all'atterraggio, non v'era passeggero o membro dell'equipaggio, capitano compreso, che non tossisse. Arrivato finalmente a casa, il giovane si mise subito a letto, prendendo un'aspirina, che mi fece il solletico. Poi sopravvenne la febbre e da lì cominciarono i miei guai. Fu chiamato il medico che, di fronte ad un'infezione, ordinò degli antibiotici da prendere ogni otto ore. La prima pillola ingerita provocò in me un forte capogiro e mal di testa, ma niente di più. Dopo cinque-sei ore ne avevo già assorbito gli effetti e mi sentii pronto al nuovo round, che puntuale venne. Me ne restai a cuccia, al coperto, cosicché il colpo fu ben ammortizzato e dopo un'oretta ero di nuovo in palla. Rimasi per un giorno calmo, tanto per dare l'illusione di essere stato debellato e poter cosė riprendere vigore.
Rimessomi bene in sesto, tornai alla carica, stuzzicando a turno laringe e faringe, provocando irritazione, tosse e febbre. Il medico ricorse a vari altri tipi di antibiotici, che aspettavo a pie' fermo, respingendoli tranquillamente. Poi, al fine di individuare la mia natura, decise per un "tampone faringeo". L'esame purtroppo rivelò esattamente di che pasta ero fatto, cosicché il nuovo antibiotico, mirato a distruggermi, mi ridusse quasi al lumicino. Mal di testa, capogiro, vomito e diarrea mi squassarono il corpo. Una grande debolezza si impadronì di me, impedendomi di reagire. Sapevo che di lì a qualche ora sarebbe arrivata la seconda pillola e con essa la mia fine. Piansi. Ormai il mio destino era segnato ma, prima di dire ciao a questo mondo, decisi di tentare l'ultima chance. Mi concentrai, chiamando a raccolta le mie ultime forze rimaste e attesi. Quando l'infermiera si chinò sul paziente e questi aprì la bocca per ingoiare la seconda pillola, spinto dalla forza della disperazione, spiccai un salto, finendo nella bocca dell'infermiera che in quel momento stava dicendo:
- Vedrà, domani sarà tutto passato.




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