la pergamena

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(Fiction)

Ivano Mugnaini - LA LUCERTOLA

L'odore di sangue penetrava nell'aria e nell'anima.
Anna non avrebbe mai pensato di trovarsi di fronte, un giorno, a ciò che vedeva in quel momento. Tutta la gioventù passata a ruminare termini tetri e spaventosi ma tenuti al guinzaglio da asettiche pagine plastificate di volumi perfettamente rilegati, e decine di lezioni di anatomia con accuratissime dissezioni, scrutate però dietro robuste lastre trasparenti tirate a lucido col Vetril.
Ed ora, d'un tratto, lì, di fronte a lei, sangue e fango: un immenso, ributtante gelato disciolto che trasformava il cuore in un grumo di vomito.
Eppure era capace di stare in piedi. Aggrappata ad un sorriso, all'orgoglio, e a qualcos'altro che neppure lei capiva, riusciva a non crollare a terra.
Avrebbe voluto fuggire. Avrebbe voluto gridare. Sì, avrebbe voluto urlare: "Che volete da me? Che c'entro io?"
Ma quegli sguardi erano muti. Se ci fosse stato odio in essi sarebbero stati meno dolorosi, ma contenevano solo un riflesso opaco, un'ombra fredda e distante. E allora Anna continuava a sorridere, e a guardare quei corpi seduti a terra accanto ad altri corpi morti, avvolti in foglie di banano intrecciate: verdi sudari, tragicamente ridicoli.
Perché era lì? Cosa si aspettava di trovare? Cosa chiedeva alla sorte, agli altri, a se stessa? Voleva sentirsi diversa? Voleva essere migliore dei suoi colleghi che erano rimasti nei loro lussuosi studi con tanto di aria condizionata e clienti condizionabili, placidi e rispettosi, pronti a fare un reverente inchino anche di fronte ad una parcella micidiale?
"Médecins sans frontières", il nome l'aveva subito affascinata: un no alla guerra pronunciato guardandola fissa negli occhi, gridando, non bisbigliato alle pareti di un placido bunker con la porta blindata marroncina e la portinaia corazzata sulle scale.
Davanti a lei, in quell'istante, gli effetti di una battaglia. Una delle tante. Scontri tra etnie, li chiamavano. Politica dei poveri: incomprensibile.
Comprensibile era solo l'urlo di trionfo della morte, che si udiva, a tratti, in attimi di silenzio irreale. Ottusamente reali erano solo i mucchi di corpi mutilati, ammassati uno sull'altro.
Al termine della disperazione c'è soltanto un ghigno di ribellione, la fuga della mente che si diverte a camminare su una corda logora e traballante sospesa sopra la trappola di cemento e lame arrugginite della pazzia.
Anna, per la prima volta in vita sua, provò paura. La paura di scoprirsi a dire sì: "sì, è giusto che sia così, massacratevi pure a vicenda, io faccio delle foto, e, al ritorno, le mostro impettita agli amici e ai colleghi, come se avessi preso parte ad una specie di safari alla rovescia, in cui le prede macellate si ricuciono, invece di provvedere a farle a pezzi noi, con dei civilissimi fucili".
La stanchezza, assurda, grottesca, dopo ore passate sotto il tendone pieno di mosche e calore di quella sala operatoria improvvisata, quella sorta di negozio incalzato da una fila di clienti senza fine, le dava una specie di febbrile euforia, che la consumava, le succhiava con gusto il midollo vitale.
Le sue mani candide, affusolate, bellissime, scolpite dalla natura per accarezzare petti villosi di playboy, e non per tastare carcasse di catrame verniciate di rosso, si posarono su un minuscolo petto ossuto. Fremiti di timore atavico scorrevano nel groviglio di nervi contratti che Anna aveva sotto le dita.
Sfiorò quel corpo di bambino con una carezza, e col sorriso più aperto e sereno che le riuscì di fare. Ma non ottenne alcun effetto. Anzi, la corteccia del piccolo tronco d'ebano si irrigidì ulteriormente. Due lacrime di rabbia inumidirono gli angoli degli occhi della giovane dottoressa. Anna chiese ad una sua collega di sostituirla, si voltò di scatto, e fuggì via dall'apertura del tendone.
Si inoltrò tra le sterpaglie finché il brusio della folla che si accalcava davanti all'infermeria fu inghiottito dal vento. Si sedette a terra, sola, nel silenzio sconfinato.
Il sole, gigantesco, arrossava il cielo al di sopra di lei. Immobile, sfocato da un alone di aria riarsa, dava l'impressione di non potersi più spostare, di essere crocifisso lassù, per sempre.
Era un sole bizzarro, diverso, diverso dal suo sole. Forse era meglio tornare a casa. Sì, meglio fare bene le piccole cose che si sa fare piuttosto che chiedere a se stessi qualcosa di troppo grande, di troppo lontano da noi.
Una gigantesca lucertola passò, col suo incedere lento e macchinoso, a una ventina di centimetri dalle sue gambe. Negli occhi sporgenti che sbucavano dalla pelle grigiastra e squamosa sembrava celare il segreto di ere lontane. Anna pensò alle lucertole, assai meno imponenti e minacciose, della sua terra. Ne rivide una in particolare. Un bastoncino verde chiaro che strisciava ridicolo sul muricciolo di una scuola, con la coda mozzata da un masso e da una risata. Nonostante i sorrisi di scherno delle altre bambine Anna si era chinata sull'erba del giardino e si era messa a cercare il pezzo mancante. Anna pensava che fosse possibile riattaccare la coda alle lucertole.
Le code delle lucertole continuano a muoversi e a guizzare finché un bambino non vince lo schifo, le prende con le dita, e le riattacca al resto del corpo - ne era sicura.
Tutto sommato lo pensava anche adesso. Anna si alzò e guardò di nuovo il sole. C'erano ancora tre ore abbondanti di luce prima del calare della sera.




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