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(Fiction)

Sylvia Van Nooten - IL PASSO DELL'ELEFANTE

Sylvia Van Nooten 296 Wetmore Ln.
Petaluma, CA 94952 (707) 762 - 5906 email sylvia@sonic.net

Sylvia Van Nooten
nata a Berkeley (CA) nel 1963. Vive e lavora in California. Suoi racconti sono pubblicati da "Phoebe", "Drop Forge", "Square", "The Independent", "Words of Wisdom". E' vincitrice dello "Helen Sloat literary award" per il 1995.
Il Passo dell'Elefante author Sylvia Van Nooten

IL PASSO DELL ELEFANTE
["Elephant Walks", 1995 by S.Van Nooten; traduzione italiana di M.Bertoli]
Dall' altra parte della strada dove si trova la mia gialla calda stanzetta, ecco il palazzo dei Veterani.
Color piccione appollaiato, piombato nel bel mezzo di un parcheggio e di campi doviziosamente irrigati, come un' oasi nel caldo meridionale. Ce n'e'uno per ognuna delle citta' dove gli indigeni usano riunirsi per i rituali estivi. Rodei, sfilate, banchi di prodotti d'artigianato e commestibili, tutto vedo dalla finestra sopra il mio box. Le mie dita scendono in picchiata come rondini alla caccia serale, tracciando profili con un mozzicone di matita. Mi fermo ogni tanto e conto le mosche rimaste attaccate alla carta che pendola inuna brezza quasi impercettibile.
Stamattina le ingombranti propaggini della Fiera della Contea hanno sfilato in citta'. Le majorettes della processione, in mucchio confuso, sciamano intorno come topi di laboratorio in un labirinto, ci scambiamo sguardi di reciproco disprezzo. Il cuore quasi mi lagrima alla vista di quest'atroce tradizione, consapevole dei sacrifici fatti in nome di questo divertimento insensato, ma mi costringo all' immobilita', non serve a niente agire adesso. Quelle tende, quei palchi baracconi e recinti non sono sirene che possano richiamarmi. E neanche i teneri coniglietti e le mucche che,pensose, aspettano di essere infiocchettate costituiscono una tentazione.
E' l'elefante il mio faro, il canto della mia anima, la mia musa - lo splendido, grigio animale dalla pelle rugosa, la proboscide terminante in delicate narici.
Perche' la mia missione nella vita e' guarire gli elefanti.
Dalla finestra aperta sento il rumore, cacofonia di meraviglia pianificata:l'ira palpita, una foschia resinosa nel fervere di cartelloni, tende e recinti di questi caudatari di commerci appiccicaticci .
Guardo tutta la mattina, in attesa del suono di Carousel ,The Big Dipper e Around The World.
L'anticipazione tintinna dentro me. Cosa per prima? Le campanelle di latta dei cavalli della giostra che corrono da nessuna parte? O l' agro rock ' n' roll, come una frustata alla spina dorsale? Solo quando la musica e' cominciata scendo dal mio empireo e mi avvio alla fiera in cerca dell'elefante.
La folla mi sfila intorno, si aggruma come fango sulle mie percezioni. Non amo molto la gente, le loro anime implorano perdono per i crimini di vite passate. Per stornare le loro vibrazioni inarmoniche nascondo un talismano nella palma, un frammento d' avorio. Stringendo il caldo dono mi concentro sullo spirito dell'elefantita' .
Tende e baracconi che punteggiano il terreno sono ostacoli con cui devo fare attentamente i conti. Se mi faccio piccolo - come solo un grassone e' capace - sparira' in questo mare, nessuno prestera' attenzione al mio scopo. Procedo con cautela, il sole delle due scotta, l'odore soffocante estivo di sudore e fieno mi irrita il naso. Sento il mantello dell'invisibilta' calare.
"Clyde!"
Oh no, chi strilla il mio nome? Ruoto su me stesso pronto ad affrontare qualche aguzzino. "Come va? E' dalle superiori che non ci vediamo""Tu sei...?" chiedo con diffidenza, sperando che quella si allontani. "Tracy, non ti ricordi? Siamo andati insieme al ballo di fine anno".
Un' onda di piena di memorie quasi dissolte, Tracy, la ragazza con cui mia madre mi costringeva ad uscire. Ci eravamo ubriacati di Schnapps e le avevo vomitato sulle scarpe.
"Ah si', come stai?" Una smorfia di sorriso, mi sforzo di mettermi al suo livello - discesa che un tempo avrei creduto potesse uccidermi.
"Le mie figlie- sono divorziata, ciao a Arden e Cheri".
"Piacere di conoscervi", stringo con gravita' le loro mani ragazzine, appiccicose di zucchero filato, le unghie listate di nero. Mi fissano come se fossi un prodigio da baraccone.
Gli occhi di Tracy sono color cannella sotto tre strati di ombretto verde brillante, mi scrutano con stupore sfocato. La sua aura urla il bisogno, alone di gialli e arancio. E' disperata e in cerca - di un compagno, di un amico, di non importa cosa. Sento tutto questo attraverso il mezzo metro che ci separa e rabbrividisco.
"Mia moglie e i bambini sono dalla nonna", dico per stornare ulteriore intimita'. "Ma mi ha fatto piacere incontrarti".
Le giro la schiena, nell' intento di disimpegnarmi, ma vedo che non ha intenzione di demordere cosi' presto.
"Mi piacerebbe conoscere la tua famiglia!" cinguetta come la ragazza pon-pon che mai arrivo' ad essere. "Alla riunione del ventennale mi hanno detto che fai l' illustratore, ma non che avevi famiglia".
"Cosa vuoi che ne sappiano - non gli sono mai piaciuto dopo tutto - scusami, stavo andando a vedere l' elefante". Mentre mi allontano i piccoli Arden e Cheri guaiscono come se qualcuno li avesse pizzicati:
"Anche noi vogliamo vedere l'elefante, MAMMAAAAAAAAAA"
Buon Dio! Mi stanno rincorrendo. Cerco di camminare piu' svelto ma il mio peso sabota ogni accelerazione. Per quanto faccia piu' di trenta gradi oggi, il mio scalpo prude per la pelle d'oca e devo fermarmi a prender fiato.
Il blando sorriso di Tracy mi dice che sono in trappola, senza via di scampo, odio aver a che fare con gli umani, gli insulti portano recriminazioni, le belle maniere altre conversazioni - cosi' adotto il piu' profondo silenzio. Ma infognata nell' insensibilita' della nostra cultura, lei legge il mio silenzio come un invito. Barcolliamo tutti e quattro verso l'elefante, il mio incubo fattosi realta'.
Una cinquantina di persone fanno lunga la fila al recinto dell' elefante. Bimbi iperattivi, avvolti di zucchero e impazienza, aspettano il turno di salire sulla schiena dell' elefante. I genitori sorridono con indulgenza, quasi l'atto della procreazione li avesse sollevati dalla responsabilita' verso altre specie viventi. Tracy e figlie conquistano i loro posti in fila - come loro sbirciano l' elefante io me la batto.
Un masso di granito. Ella se ne sta a capo chino, lanciando un' ombra di freddo sconforto.
Cerco una maniera per appropinquarmi inavvertito. Eccolo li'! Una spazio dietro la scaletta arrangiata che conduce sulla sua schiena, dove gli insensibili al rimorso montano l' elefante con la noncuranza con cui salirebbero a bordo di un aeroplano. Dipinta a strisce, drappeggiata di similvelluto, sembra una regnante in attesa della ghigliottina. Ogni cavaliere e' parte di una mannaia che le taglia via pezzi di vita, mentre cammina faticosamente in circolo, tornando indietro e ricominciando, in un andare perpetuo da purgatorio. Perche' questo asfalto nero sostiene una delle piu' incredibili creature del mondo. La sua intelligenza e' straordinaria, profondo il suo senso della famiglia. Un elefante della Savana africana, lo vedo dalle orecchie. Schiava dello charme della sua specie, sara' presto condotta a follia. Vedo gli schizzi d' acqua destinati a rinfrescarla (penoso e' il paragone coi laghi e gli stagni). I bambini bercianti cimentano le sue orecchie sensibili, ogni suo istinto le dice CORRI, ma lei non vuole fare male a nessuno.Con un pungolo il domatore la guarda orgoglioso, pensando che se non e' questo il meglio ch' egli possa fare per lei, e' sempre meglio di un circo, pero' - lui aspirerebbe a uno zoo.
Oh Gesu' caro, ora la sento, mi manda messaggi, depressa e accaldata, agognando che la sua mente sia inondata da memorie ancestrali. Pianori e fiumi d' Africa, lunghi spostamenti in gruppo con la sua famiglia, l'acuta brillantezza e i suoni di tromba dell'attacco. Fu allevata in cattivita' ma queste visioni sono reali; il mito vuole che gli elefanti non dimentichino, la verita' e' che nascono con i loro ricordi, mille anni di conoscenza allocati entro i loro complessi cervelli.
Mi preparo a muovermi come le mie energie salvifiche sono al loro picco, ma una mano afferra la mia spalla. Sempre il predatore, Tracy mi ha ritrovato.
"Clyde, i bambini hanno troppa paura per salire da soli, andresti con loro?"
I suoi occhi scuri mi inchiodano al suolo, scuoto la testa, non posso parlare ma lei mi spinge innanzi, entro la fila. Due bambine si appendono alle mie mani guardandomi con miseranda civetteria. Come in sogno eccomi montare sull' elefantessa, sederle in coppa - piccole mani ciancicano la mia camicia - avverto onde di nausea una dopo l'altra, e di dolore, piango, non ce la faccio, devo scendere.
Il suolo mi colpisce con la forza di una gabbia d' acciaio, la luce del sole fluttua, quindi sbiadisce mentre l' elefante rincula, scuotendo dalla sua schiena i cavalieri come farebbe con uccelli. Vedo un occhio enorme venire nella mia direzione ma di colpo si siede la proboscide si allunga gentilmente colpendo il mio viso, il mio torace la sento sospirare, "E' troppo lento".
L' ambulanza arriva non appena ella e' colpita da un proiettile di tranquillante. Due infermieri caricano la mia pesante carcassa su una barella, colgo la luce del sole sino a che la mia visione non esplode in un bianco abbagliante.
Mi hanno detto, piu' tardi, che e' stata rispedita in Africa, ma io lo sapevo che era stata assassinata in quel parcheggio. Con le lagrime scorrenti lungo il barbone, il domatore le ha tirato una palla nel cervello. Fu quello che mi accieco', vidi quel momento in un urlo prolungato, che fece uscire i tubi che mi avevavo infilato nelle vene, mentre scalciavo e gridavo il mio dolore.
Il mio futuro l' ho trovato in questa linda stanza d'ospedale. Barcollando sotto il peso di una prognosi clinica, ho scelto di restare sotto il peso della torazina e della tranquillita' dei sonniferi, ondeggiando tutto intorno nel mio passo d'elefante, scontando nei miei circoli antichi peccati. Elephant Walks




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