la pergamena

  Rivista Letteraria - Literary Review
    virtuale

» Narrativa
(Fiction)

Seba - L'URO

Nel 60 d.c. in Britannia le fiere tribù celtiche degli Iceni e dei Trinovanti, spronate dai Druidi, sotto la guida della regina Boudicca, s'erano ribellate contro l'invasore romano. In breve tutto l'oriente dell'isola fu in fiamme; la prospera Londinium fu assalita, saccheggiata ed incendiata.
Ebbri della facile conquista i Celti che avevano radunato circa ottantamila uomini, si lanciarono contro l'esercito imperiale venuto anni prima dalla Gallia.
A sostenere l'urto di quella temibile orda, composta da uomini coraggiosissimi ma refrattari ad ogni disciplina, erano le legioni XIV e XX, settemila uomini in tutto, ma uomini addestrati alla maniera romana e perciò disciplinati e determinati sino alla ferocia.
Nell'ottava "turma" della XIV legione, militava Lucio che al tempo degli avvenimenti narrati era già entrato nel 22° anno d'età. Egli era nato a Donae, sulla via Emilia, nei dintorni di Mediolanum; da poveri agricoltori, e favorito dal suo fisico, era stato ammesso alle armi imperiali 5 anni prima. Per tre anni aveva ricevuto istruzione militare a Ticinum, era stato assegnato poi alla guarnigione del Castrum di Vindobona, e trasferito in Britannia nel 58 d.c. Era un valoroso soldato, anche se le sue doti non avevano avuto modo di rifulgere sino ad allora.
Lucio non era un romano di discendenza italica, il suo incarnato chiaro, i capelli rossicci, gli occhi cerulei e la statura imponente ne tradivano le origini celtiche; egli era un degno discendente di quel magnifico popolo che aveva dominato l'Europa nel I° millennio prima di Cristo. Ma questo Lucio lo ignorava. Istintivamente era conscio di essere diverso dai Romani; i suoi geni Celti, facevano di lui tutt'insieme un guerriero, un cantore ed il sacerdote di se stesso. Era capace di uccidere e di piangere per il nemico ucciso, era capace di mangiare ed ubriacarsi sino a perdere la dignità umana ma era capace poi di digiunare per giorni, fino a ritornare in comunione con il suo spirito. Per uno strano gioco del destino Lucio doveva ora combattere genti nelle cui vene scorreva sangue uguale al suo. Il fato decise di fare scontrare i due eserciti a Verulanum.
A capo delle legioni romane era il crudele governatore Svetonio, coadiuvato dal tribuno militare Agricola, giovane dagli occhi ed il cuore di ghiaccio.
L'urto fu terribile, i variopinti combattenti indigeni si scagliarono con foga ed irruenza contro le disciplinate legioni; ben presto l'intero campo di battaglia si trasformò in una bolgia infernale.
I coraggiosi Celti pur riuscendo a dividere la formazione romana non ne scompaginarono le fila e così dopo ogni assalto le schiere nemiche si ricomponevano inducendoli allo sconforto.
Nella fase centrale dello scontro, un forte manipolo di Celti con abile azione aggirante si portò sul fianco destro della formazione romana; Agricola si accorse troppo tardi della manovra, e giudicando il suo schieramento troppo allungato, ordinò il ripiegamento di alcune turmae, ma tradito dalla sua generosità si attardò nell'azione di retroguardia, col risultato di venire isolato e circondato. Una pietra lanciata da una fionda lo colpì disarcionandolo e sarebbe sicuramente stato ucciso se Lucio che aveva seguito l'azione dei Celti non fosse tornato indietro e buttandosi tra i barbari non ne avesse disorientato le fila menando dei gran fendenti con un'ascia sottratta a un nemico, uccidendone in gran numero. Alcune "turmae" prontamente accorse avevano poi definitivamente messo in rotta i barbari superstiti. Al tramonto le sorti della battaglia erano decise; la disciplinata ferocia dei Legionari aveva avuto ragione del cieco coraggio dei Celti.
La vendetta di Roma fu terribile.
Spronati da Svetonio ed incuranti delle richieste di "clementia" che i nemici ormai inermi urlavano con disperazione e terrore, i legionari uccisero tutti i guerrieri. Le donne ed i bambini che come costume dei barbari seguivano i combattenti furono catturati e resi schiavi. La regina Boudicca, ferita e catturata, venne decapitata e la sua testa issata su una picca. Al calare della notte la memoria dei fieri popoli degli Iceni e Trinovanti era già svanita nelle nebbie della Storia.
I Druidi catturati, che i Romani odiavano particolarmente per il loro uso di sacrificare agli dei esseri umani; furono tutti condannati ad essere bruciati vivi. Il massacro era stato così orribile che persino i più duri tra i veterani romani avevano alla fine provato un senso di sgomento; Lucio ricoperto di sangue aveva vomitato e pianto per i caduti, poi insieme ad altri legionari ricoperto di sangue, polvere, stanco e sudato, aveva trovato sollievo nelle acque di un vicino ruscello. Alla mattina c'era stata la spoliazione dei cadaveri dei nemici, ordinata e metodica. Lucio aveva preso una sola cosa, un arco celtico di splendida fattura; costruito in corno, doveva essere molto antico.
Alcuni giorni dopo Lucio fu convocato dal legato Tiberio, costui gli preannunciò il conferimento di un'onorificenza militare, la trascrizione di essa nel suo "diplomata" e la promozione a decurio, gli ordinò infine di presentarsi alla tenda del tribuno Agricola all'ora nona.
Allo scoccare dell'ora Lucio era davanti ad Agricola. "Ave Tribuno", "Ave Lucio, a quanto pare ti debbo la vita, non lo dimenticherò, mai! Ma ora ti prego siediti. Le ferite non mi consentono di muovermi." Solo allora Lucio si accorse che il Tribuno era fasciato alla spalla destra ed aveva la gamba sinistra steccata. "Marte ha reso forte il mio polso." disse confuso Lucio . "Già, e Dionisio deve aver reso cieco il mio cervello" . Chiaramente Agricola si riferiva al suo errore tattico a Verulanum, ma la cosa sembrava divertirlo dacché scoppiò in una fragorosa risata, contagiando nel buonumore anche Lucio e l'exceptor Claudio presente all'incontro. I due giovani chiacchierarono per circa un'ora, poi Agricola chiese a Lucio diverse informazioni ordinando all'exceptor di trascriverle su pergamena. Infine l'exceptor arrotolò il manoscritto, lo legò accuratamente sigillandolo con la cera fusa.
Agricola gli impresse il suo sigillo e lo ripose nel suo baule militare. Lucio fu invitato al pranzo, a cui presero parte tutti gli ufficiali del seguito di Agricola. Quando si congedarono il tribuno gli strinse il polso destro nel saluto del rispetto: "Tu sei ora mio fratello.", "Clarissimuss, io resto sempre il tuo umile servo". Agricola sorrise e nei suoi occhi di ghiaccio passò un'ombra, "Roma vivrà a lungo, se continuerà ad avere soldati come te." Non si rividero mai più; ma Agricola non dimenticò Lucio.
Alcuni giorni dopo accadde uno strano fatto.
Lucio era andato alle stalle per visionare alcune cavalle, e stabilire se erano idonee al trasporto di un carico militare sino ad un distaccamento distante alcune leghe. Fu allora che lo vide; il Druido stava accovacciato su un mucchietto di paglia umida e sporca, i suoi occhi brillavano nella penombra, Lucio trasalì, non aveva mai visto occhi di quel colore, erano gialli, stranamente gialli. "Soldato, avvicinati", la voce stanca aveva un timbro strano, metallico, ma suonava imperiosa. Lucio meccanicamente si avvicinò. "Tu non sei Romano", "Tu sei diverso; tu veneri la Madre Luna", Lucio trasalì, come faceva quell'uomo a sapere, a leggere così chiaro nel suo cuore? Mai a nessuno aveva confidato di ritenere vacuo l'universo delle deità Romane e nessuno sapeva che sacrificava solo alla Bianca Madre. "Cosa farnetichi vecchio? Cosa vuoi da me?", "Dammi la morte con il ferro della tua spada, non permettere che il fuoco bruci la mia anima, Nodens perseguiterà il mio spirito se verrò bruciato; se verserai il mio sangue sulla madre Terra invece, il mio spirito correrà libero e potrà incarnarsi nel corpo di un possente animale". Lucio era turbato, conosceva le credenze celtiche ed in cuor suo aveva sempre disapprovato la sorte che i Romani riservavano ai Druidi, ma era prima di tutto un leale soldato di Roma. "Non posso farlo padre, verrei punito per questo, non potrei affrontare il disonore" , "Oh figlio com'è permeata la tua anima delle false verità dei Romani, leggi nel tuo cuore, egli sa che devi farlo".
Allora Lucio decise, con gesti rapidi allentò i legacci ai piedi del sacerdote; "Sarà quando Madre Luna chiuderà il suo manto. Sentirai un grande rumore; vai alla porta e corri, corri più che puoi".
Il vecchio capì e lo guardò "Che il tuo polso sia saldo come il tuo cuore figlio", "Lo sarà padre". Alcune ore dopo, la quiete che regnava nell'accampamento fu rotta da un gran fragore, tutti i soldati di sentinella si lanciarono allarmati nella direzione da cui esso proveniva, anche quelli che montavano la guardia al Druido. Una figura avvolta in cenci bianchi emerse dal buio della stalla correndo verso la vicina boscaglia. Dal buio sibilando sordamente partì una freccia, la sua corsa incontrò presto l'esile corpo del Druido, impattò contro di esso sollevandolo letteralmente dal suolo e spegnendogli all'istante la fiamma della vita.
Era una freccia celtica, scagliata da un braccio possente.
Presto la calma tornò nell'accampamento, il corpo esanime del Druido fu subito ritrovato, i soldati dissero poi che il suo volto era atteggiato ad un sorriso. Tutti pensarono ad un tentativo fallito dei partigiani celti per liberare il sacerdote; i soldati di guardia alla stalla furono blandamente puniti e ben presto tutti si dimenticarono dell'accaduto.
Tre anni passarono.
La vita di Lucio continuò tra privazioni, marce, battaglie con barbari che ancora si ribellavano al giogo di Roma. Grazie alla sua innata sete di conoscere aveva imparato a leggere, scrivere e far di conto, nonostante i lazzi dei suoi commilitoni che consideravano il fatto alla stregua di un'inutile eccentricità. Al ritorno da un'operazione alla frontiera settentrionale trovò ad attenderlo un messo di Agricola, che veniva da Roma.
"Ave decurio Lucio ti porto il saluto del senatore Agricola, che mi prega di consegnarti questo". E trasse da una grossa borsa di cuoio che portava a tracolla una pergamena arrotolata e accuratamente sigillata. Lucio riconobbe il sigillo di Agricola, lo ruppe e srotolò la pergamena; quanto lesse gli tagliò il fiato. Agricola gli assegnava una vasta tenuta nei pressi di Donae, molti acri a grano e frutta "cum accessories".
Come avrebbe scoperto poi gli "accessori" erano: un mulino, due case coloniche, vari capi di bestiame e alcuni schiavi. Agricola precisava inoltre di aver già ordinato di far trasferire colà i suoi vecchi genitori e concludeva chiamandolo "fratello". Lucio come inebetito, ringraziò il messo che ripartì di gran carriera.
Poi restò a pensare alla grande fortuna che gli era toccata, gli tornò alla mente il Druido, e concluse che tutto ciò che gli accadeva doveva essere frutto della sua benedizione.
Venti anni più tardi.
Gli Dei avevano sempre protetto il cammino di Lucio. Le sue messi erano state sempre copiose, i suoi animali s'erano moltiplicati senza morie, aveva preso moglie ed avevano avuto quattro figli forti e robusti, i suoi vecchi erano morti serenamente nell'aura dell'abbondanza.
Al suo primogenito aveva imposto il nome di Agricola. Quando questi era entrato nell'età di Apollo, Lucio gli aveva affidato la cura della tenuta, ed era partito per Roma a coronamento del sogno di una vita, vedere la città che dominava il mondo e per cui aveva combattuto per tanti anni della sua vita.
Rimase per tre anni nella capitale dell'Impero, conquistato dalla sua bellezza e dalle splendide opportunità che gli si erano presentate.
Le sua ricchezza s'accrebbe sempre più'; perché gli dei non smettevano di lesinargli i loro favori, ma alla fine, l'attrattiva della Città Eterna era stata superata dalla nostalgia per la famiglia e Lucio aveva ripreso la strada di casa.
Il viaggio di ritorno era stato difficile, perché un precoce autunno aveva portato una gran copia di pioggia rendendo i sentieri poco percorribili.
Un giorno, poco dopo il tramonto, quando mancavano circa 40 leghe per arrivare a Donae, s'era ritrovato in una radura cui faceva corona un bosco di profumati ontani.
Rallegrato dalla prospettiva dell'imminente arrivo a casa e confortato dal tempo che sembrava rimettersi al bello aveva deciso di trascorrere la notte in quel sito ameno e mentre stava predisponendo alcuni accorgimenti per la sua incolumità, voltatosi, maestoso nella penombra lo intravide.
A una trentina di passi stava un enorme Uro, che sembrava si fosse materializzato dal nulla, tale era il silenzio che aveva preceduto la sua apparizione.
L'animale lo fissava tenendo le grandi corna nella posizione di attacco. Lucio era sbalordito, aveva sempre udito favoleggiare di questo mitico animale, ma non avrebbe mai immaginato di trovarsene di fronte uno proprio lì, nel cuore dell'Italia, della progredita Italia Romana.
L'Uro era un animale pacifico ma dall'aspetto e dalla forza terrificanti, la sua altezza al garrese poteva superare i due metri ed il suo peso le tre tonnellate, le sue corna erano poi così grosse e forti che con un colpo solo potevano schiantare alberi di considerevole grossezza.
Lanciato all'attacco era una furia naturale cui non si poteva dare ostacolo.
Lucio capì di essere perduto, la distanza era troppo corta per affrontare il terribile avversario con l'arco, avrebbe potuto scagliare un unico dardo, e poi..? Estrasse allora la corta daga di ferro che portava sempre al fianco, sapeva di non avere alcuna possibilità ma avrebbe affrontato la sua sorte e sarebbe morto come muoiono i soldati di Roma, con il petto squarciato. Si preparò quindi a lanciarsi all'attacco per l'ultima volta , intonò il canto d'addio dei Legionari salutando con i toccanti versi la vita e cercò nell'oscurità gli occhi dell'avversario. Ma l'Uro non dava l'impressione di volerlo attaccare, rimanendo fermo, muoveva la testa dondolando ritmicamente il superbo trofeo.
L'uomo avvertì una strana sensazione di irrealtà, e le viscere gli si contrassero, ma non era paura, i Legionari non conoscevano la paura...
L'Uro restava ancora stranamente fermo, non sembrava che volesse dargli la morte, ma allora perché non andava via?
Improvvisamente Lucio capì.

Gli occhi dell'Uro!!. Erano gialli..., stranamente gialli; come quelli del Druido a cui lui aveva concesso la morte tanti anni prima, ed allora Lucio intuì con chiarezza cosa dovesse fare!
Trasse a se l'arco celtico e con gesto sicuro lo lanciò verso l'animale.
Solo allora lo splendido dominatore dei boschi si mosse, e lentamente con la sua andatura superba, si appressò all'arma; con un possente colpo di zoccolo la schiantò di netto, rivolse ancora un ultimo sguardo all'uomo, si girò e misteriosamente com'era venuto disparve tra gli ontani nel buio della sera.




» Torna all' Home Page