la pergamena

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(Fiction)

Francesco Silvestri - NOTTE E LIBERTA'

QUANDO IL TRAMONTO E' LONTANO, E L'ALBA E' SOLO UNA CHIMERA...

Il sole è scomparso, dietro una nebbiolina color porpora, e pian piano i colori del cielo si sono dati il cambio. Tutte le ombre sono scomparse, ogni triste pensiero si è fuso in un unico, spensierato nero.
La notte è arrivata, ci ha messo un po' di più ma alla fine è tornata a farmi compagnia.
Come sempre, come in ogni identica e spiccicata giornata della mia vita.
Alle volte, durante le mie crisi, credo che i bambini abbiano un orologio svizzero al posto del cervello, o di qualunque cosa ci sia dentro il cranio sproporzionato che li rende così carini.
Il mio piccolo ha aspettato con impressionante precisione che fumassi la mia trentunesima sigaretta, fuori dal balcone, con le poche macchine che attraversavano la strada sotto casa e una rotaia sempre sgombra. Poi ha pianto, e mi si è aperto il cuore, ed ho pianto con lui.
Gli voglio bene, non importa che mi abbia rovinato la mia giovinezza, non me ne frega che a diciassette anni non posso uscire di casa perché devo accudire ai suoi bisogni, perché devo stargli accanto come una vera mamma. Dopotutto, la colpa la devo dare solo a me, se questa nuova notte, una lunga notte da passare sola con lui, avrá come sfondo la casa, tra le mura che oramai conosco a memoria in ogni loro crepa.
O forse devo darla alla persona che ha giocato con il mio corpo, mi ha trattata come una bambola, quella stupenda nottata in cui ho concepito il mio piccolo.
Ora piange più forte, non lo aveva mai fatto.
Il pannolino gliel'ho cambiato qualche istante fa, la poppata di latte in polvere sul finto capezzolo del biberon se l'è giá fatta.
Forse è vero che i bambini sentono i pensieri della propria mamma, il dolore che una giovane mamma prova quando vede fuori dalla finestra un mondo intero, il suo mondo, correre senza fermarsi mai, senza guardare una sola volta indietro, nella calda notte di primavera, che è appena arrivata ma sembra lí da troppo tempo.
Canto. Una ninna nanna che ho scritto per lui, una ritmata canzone country la cui melodia, se fosse stata scritta, si adatterebbe come uno stupendo vestito di seta nera alle storie dei contadini della Carolina, dei cow-boy del Texas che la notte trottano verso alti monti con i loro bianchi cavalli, piccole lune in movimento verso la libertà.
Mi piace scrivere canzoni, una volta volevo cantare con una band, e a loro andava bene.
Poi peró mi sono stufata di stare davanti ad un microfono, a regalare i miei sentimenti e l'intimo della mia anima a spettatori che se ne fregano di quello che dici, purché la batteria e la chitarra accompagnino le loro bevute.
Avrei voluto essere una ballerina da discoteca, una spogliarellista, una cameriera. Che ci faccio dello stipendio da impiegata in banca se poi mi tocca svegliarmi presto la mattina, tornare stressata a casa e non poter uscire la notte?
Quando lo dissi alla mia professoressa di italiano lei rise come una matta, perché era convinta che i miei voti e la mia devozione per lo studio mi avrebbero condotta a braccetto verso laboratori chimici, oppure sulla cattedra di qualche importantissima universitá.
Non capiva, nessuno capiva quanto mi importasse vivere solo ed esclusivamente dopo che il sole era calato, quando le parole divenivano soffici nuvole, manti stellati, fiori profumati.
Il luogo dove l'amore non era più un sogno, ma qualcosa da poter toccare con mano, qualcosa da poter strofinare sul corpo per sentirne bene l'odore.
"Quando il tramonto è lontano, e l'alba è solo una chimera, allora la vita comincia a correre, e i sogni diventano epoca."
Amavo passeggiare nelle ore più folli, uscendo in punta di piedi dalla finestra che ridá sul cortile.
Sentivo il bisogno, l'istinto animale di fermare le persone più strane, stare a sentire i loro discorsi e intervenire ogni tanto, ma proprio ogni tanto, per non tagliare le ali ai loro voli pindarici.
E i miei genitori si infuriavano come bestie mitologiche quando all'ora del risveglio non mi trovavano nel letto, e al mio posto un bigliettino fischiettava queste parole:
"Sono andata a scuola".
Lo scrivevo la notte, prima di uscire e vagabondare, ma loro non lo hanno mai scoperto.
Persone grandi, vecchie, che sarebbero potuti essere tanti papá e tanti nonni (e sarebbero stati meglio dei miei veri parenti) mi davano passaggi per luoghi magici.
Una volta ho visto una casa proprio in fondo ad una valle costellata di ulivi, ed era la casa di un vecchietto che mi diceva quanto io assomigliassi a sua figlia, che era morta tanto tempo prima. E dentro c'era un camino acceso, e una anziana moglie che lo aspettava.
"Guarda chi c'è!" aveva esclamato il nonno.
E la signora aveva accennato un saluto con il capo, e subito davanti a me erano comparsi biscotti e una buona tazza di latte caldo.
Non stavo sognando, non ero nemmeno drogata; giuro su Dio che la signora non si era nemmeno mossa dalla sedia a dondolo vicino al fuoco che scoppiettava, eppure mi ero ritrovata biscotti e latte davanti.
Poi, io la droga non so nemmeno che cosa sia.
Il mio piccolo bambino non mi ha dato tempo di provarla, non mi ha dato il tempo di fare un sacco di cose.
Adesso si è calmato, non piange più, e il suo pugnetto chiuso cerca la mia mano. Dio, quanto è dolce, un batuffolo di carne rosa che mi guarda con due occhioni incredibilmente belli. Sembrano parlare direttamente al mio cuore, non sento nessuna parola ma riesco a percepire le reazioni che provocano in me le sue frasi.
"Mamma, ti voglio bene."
E' ora di fumare un'altra sigaretta: mamma e papá - che stronzi! - sono usciti con gli amici, perché non vogliono ricordare che la loro figlia ha un bambino, e che non ha voluto abortire come loro speravano che facesse.
Poso il bambino nella sua culla, piano, meticolosamente. Non è una bambola ma ho lo stesso paura che si rompa. E lui mi guarda e sa che non deve piangere, perché ora la mamma va fuori al balcone e si toglie un po' della sua vita aspirando tabacco.
In punta di piedi - faccio sempre così, la notte - percorro il corridoio, entro in camera dei miei e rubo una siga dal pacchetto di mamma. Fuori, l'aria è meno calda, quasi pungente, ma fa bene come non mai e ristora lo spirito.
L'ho conosciuto ad una festa, il mio primo vero amore. Non è stato mai facile convincere mio padre a farmi uscire, così avevo cominciato a far venire le mie amiche senza preavviso, e con la macchina di una di loro accesa sbattevo la porta di casa alle spalle e correvo verso la libertá.
Era una festa di compleanno, di quelle che si fanno ai pub o alle discoteche, con tanta gente ma nessuno che ti è amico, nessuno che conosci sul serio.
Lui era uno di quelli, una figura che vedevo tante volte nelle mie passeggiate dopo scola, ma che non aveva un nome, una voce, un'anima.
Si è avvicinato, timido com'era, solo quando dovevo andare a casa, e mi ha detto:
"Ciao".
L'ho rivisto il giorno dopo e di nuovo quel "Ciao" melodioso come un accordo di chitarra. Dopo tre giorni, conoscevo il suo nome, i suoi sogni, la sua mania per l'attore George Clooney, insomma tutto quello che bastava ad una ragazzina per innamorarsi.
Abbiamo passato una settimana incredibile, ed un week-end da commedia romantica, con lui che quasi si faceva male per stappare una bottiglia di vino.
Ho bevuto quasi mezza bottiglia, io che ero abituata a bere Coca-Cola per far credere ai miei di aver educato una brava ragazza.
Ci siamo amati sotto la luna piena, i nostri corpi si sono incontrati in perfetta simbiosi.
Se solo ci fosse anche lui, qui accanto a me, a guardare le luci delle case che si accendono e si spengono a ritmo di blues. Ma lui non si è mai degnato di guardarmi ancora, dopo quella notte.
Non era timido, non era dolce, era un ragazzo della sua etá, un diciassettenne abile a giocare con le ragazze, così esperto da capire al primo sguardo come comportarsi, come apparire.
Un vero grande attore, alla pari del suo George Clooney.
E' corso via veloce, come i bei sogni che all'alba scompaiono. Verso una nuova festa, verso qualcosa di divertente e spensierato.
Verso la notte e la libertýá.
Eccolo lì che dorme, beato. I problemi della vita gli volano lontano, ad una quota troppo elevata per sentirne il rumore.
Crescerá, amerá la notte come me, vivrá le sue avventure e cercherá in ognuna di esse il cammino da percorrere.
Perché nessuno ha scritto niente per noi, nessuna entitá superiore si è degnata di preparare per noi una esistenza precotta, e quindi tocca a noi scavare gallerie, erigere ponti, gettare asfalto sugli anni che corrono veloci e non accettano fermate.
Sará libero, il mio dolce figlio.
Pensare e raccontarmi mi ha aiutato a passare anche questa dolce notte. I miei sono tornati qualche ora fa e mi hanno dato un bacio sulla guancia, tutti e due. Qualcosa in loro mi ha ricordato la mia espressione, ogni volta che guardo il piccolo.
Forse erano solo ubriachi, o forse hanno deciso di accettare la loro figlia, così com'è.
L'alba è tornata in pompa magna, ha stuprato l'abbozzo di sogno che stavo per girare.
Io, la regista dei sogni.
I grandi sono pronti a vivere la loro ora d'aria, poi si incateneranno ai posti di lavoro e inizieranno a sbuffare davanti ad una scrivania che si riempie, e si riempie, e si riempie fino ad incrinare il legno di scartoffie, e di scartoffie, e di scartoffie.
Nascosti in quel poco che resta della nottata precedente, dentro una casa di nessuno, ammucchiati su un divano o per terra o in letti sfondati, le bestie notturne riposano. Il sole le costringe a rintanarsi nei loro rifugi, ma loro aspettano, aspettano, aspettano a lungo che torni l'amica luna, che il giudice della vita conceda ancora la libertá condizionata. Per ululare nel vento e respirare e vivere, nella notte che accoglie tutti nel suo utero caldo e sicuro.
La professoressa mi guarda e le faccio pena, mi vuole bene ma allo stesso tempo sente che deve odiarmi.
E' scritto sul libro dei comportamenti universali: "Ama il prossimo tuo, ma non affezionarti a chi ti sembra un poco di buono."
Non mi conosce, non mi conosce nessuno eccetto coloro che la notte sono pronti ad ascoltarti, e ti ascoltano sul serio e i tuoi pensieri entrano nei loro cuori e rimbalzano per tutte le vene.
Stacco un foglio di quaderno, la mia compagna di banco mi osserva con la coda dell'occhio.
La penna rossa trema nella mia mano, non per paura ma per l'eccitazione, per quel profumo che si materializza nella stanza e solo io posso sentirlo.
La mia compagna di banco legge ció che ho scritto, mi fissa e sorride. Non capisce.
Solo il mio piccolo comprenderá, e piangerá tanto, e sua nonna lo educherá come un figlio.
Questa volta, mamma, non sbaglierai come hai fatto con me.
Il foglio di quaderno è sul banco, sopra il testo di letteratura italiana.
Ho ricamato ogni singola lettera, ho fatto un disegnino per riempire l'enorme spazio bianco che è avanzato. "Sono andata a scuola", c'è scritto.




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